- Fare artigianale, pensare industriale -
DIALOGO TRA GILLO DORFLES E ALDO COLONETTI
Aldo Colonetti: La ricerca,le nuove tecnologie, i nuovi materiali avanzano, ma sempre di più c’interroghiamo sul rapporto tra design e artigianato, tra "fatto a mano", un termine che tu hai introdotto molti anni nel dibattito, e processo industriale. Oggi qual è il tuo pensiero?
Gillo Dorfles:la riflessione riguarda, alla fine, un tema fondamentale della progettazione,non solo il ruolo dell’artigianato. L’uomo ha sempre di più la necessità di creare alcuni oggetti che siano forniti d’un alto potenziale simbolico, così da poter emergere dalla marea degli altri oggetti, "spendibili"senza limite. Siamo preda, in sostanza, di un feticcio quotidiano con cui dobbiamo fare i conti; questo spiega il perché della ricerca incessante di prodotti "d’eccezione",che si differenziano dall’appiattimento e dalla conformismo generalizzato.Da questo punto di vista,il concetto di "fatto a mano",che sta al centro della cultura artigianale, è fondamentale.
A.C. Gillo, un po' di cultura artigianale potrebbe essere utile rispetto al grande tema del consumo, già da te affrontato nel famoso saggio del 1962, "Simbolo Comunicazione Consumo",nel quale già scrivevi, rispetto a questo problema,che "nei prodotti artigianali, anche in quelli dove interviene parzialmente l’impiego di una macchina, esiste sempre un margine d’azzardo"? Margine che potrebbe rappresentare, oggi una sorta di resistenza al consumo immediato di qualsiasi prodotto.
G.D. Certamente l’accelerazione dei tempi, la velocizzazione della vita d'ogni giorno, si possono del resto ricondurre a quel principio di perdita dell’intervallo e della pausa, di cui ragionai in un saggio del 1980, "Intervallo perduto". Questo non significa rifiutare alcuni elementi positivi dovuti alla velocità, basti ricordare tutti i vantaggi dovuti ai rapidi spostamenti dell’uomo sia nel
corpo sia nel pensiero; forse una presenza, misurata e equilibrata, del concetto del "fatto a mano", potrebbe rappresentare un atteggiamento, comunque presente nella filosofia della cultura artigianale, in grado da un lato di umanizzare i prodotti, e dell’altro lato, di contribuire ad avere un rapporto responsabile nei riguardi di tutti quegli oggetti quotidiani che ci circondono, senza trasformarli in "altro".
A.C. Gillo, cosa significa "altro", rispetto al ruolo del "fatto a mano" e la sua relazione con la produzione industriale; abbiamo tutti noi imparato da te che non esiste differenza tra serialità industriale e pezzo unico,perché la dimensione estetica transita dovunque, nella vita di tutti i giorni, come, ovviamente, nei luoghi delle produzione e dell’esposizione dell’arte. Bisogna saperla cogliere; nel design, nell’architettura, nella moda, nella grafica, ma ovviamente anche nell’artigianato, basti pensare ad alcune mostre ospitate in Triennale, da quella che tu hai curato, dedicata al Kitsch, fino all’esposizione dei lavori di un grande artigiano come Pier Luigi Ghianda.
G.D. L’uomo, con ogni evidenza, crea con le sue mani, o con gli attrezzi di cui può disporre, dei simulacri, dei feticci di se stesso, delle "sue divinità", dei suoi fantasmi. E questi oggetti, questi "feticci", finiranno di avvalorare la presenza di una Urform, nel senso goethiano di matrice originaria, che giustificherà la compresenza d’un dato utilitario e funzionale, da un lato, e dall’altro lato di un valore artistico, magico e mitico, in ogni prodotto. Ecco,non dimentichiamo mai che qualsiasi progetto, anche quello più avanzato sul piano industriale, non può fare a meno del "fatto a mano", ovvero di quell’elemento simbolico e narrativo che supera ogni particolare denominazione e utilizzazione.
A seguire gli interventi di:
- Venanzio Arquilla
- Valentina Auricchio
- Mario Biancolin
- Piero Castiglioni
- Matteo Devecchi
- Marco Ferreri
- Forma Fantasma
- Duilio Forte
- Davide Groppi
- Giulio Iacchetti
- Andrea Maragno
- Livia Peraldo Matton
- Francesca Taroni
- Matteo Thun
VENANZIO ARQUILLA - Verso un nuovo rapporto tra Design e Artigianato
Competenze tradizionali e visioni globali per un nuovo Made in Italy
Design e Artigianato, legati in maniera inscindibile con combinazioni varie e molto originali, sono stati da sempre la base del successo delle imprese del Made in Italy.
Di fronte agli scenari di crisi attuale, che porterebbero facilmente a dichiarare la fine di questo modello o di questa utopia, come la definisce Mari, emergono, a dimostrazione di una creatività innata, nuovi ed importanti segnali. Lo stesso Mari già nel 1974 con Autoprogettazione faceva presagire a nuove dinamiche che oggi tra l’altro chiamiamo Autoproduzione.
Il rinnovato interesse su questi temi, interesse culturale ma anche interesse sperimentale, come testimonia la straordinaria moltiplicazione di iniziative attuate a diversi livelli che intendono avvicinare artigianato e design, molte delle quali assolutamente bottom-up. L'enorme successo delle pubblicazioni che parlano di questo tema, tra tutte L’uomo Artigiano di Richard Sennett e Futuro Artigiano di Stefano Micelli. La freschezza e la dirompenza di alcune emergenze quali il fenomeno dei makers, come li definisce Chris Anderson, del making in generale, i fab lab, l'esplosione del thinkenring che non fanno altro che avvicinare tendendo quasi a sovrapporre l'essere artigiano e l'essere designer.
Emerge una forte spinta a ripartire dal piccolo sporcandosi le mani, abbandonando le chimere del marketing e della macroeconomia globale, essendo consapevoli che il mondo sta cambiando radicalmente e forse definitivamente.
Questo cambiamento auspicato è essenzialmente un cambiamento culturale e di approccio.
Oggi sia designer che artigiani non sono più chiamati a fare, solo e bene, il proprio mestiere, per emergere è necessario creare nuove connessioni, estendere il dominio delle proprie competenze, cercare di integrare gli utenti nel processo, in poche parole bisogna cercare di essere impresa, anche sostituendosi all’impresa, creando nuova impresa che si può chiamare designer=impresa, dove con impresa si intende il soggetto che sta nel mercato e genera economia, un’economia non speculativa con un importante portato sociale e culturale.
VALENTINA AURICCHIO
Riflettendo sul tema dell’artigianato, l’ambito che più mi appartiene è quello dei progetti internazionali di cooperazione, progetti in cui designer di diverse nazionalità hanno cercato di aiutare territori produttivi artigianali a risollevarsi attraverso la progettazione di nuovi prodotti. Proprio in questi mesi, con Poli.Design, stiamo terminando un progetto di questo tipo in Brasile, nella regione dell’Acre, in cui abbiamo coinvolto Emmanuel Gallina e Bernardo Senna nella progettazione di nuove linee di mobili sostenibili. Il progetto è ambizioso, ma come sempre manca quella spinta in più per poter realmente fare la differenza in una regione ai confini del mondo. I fattori cruciali sono la qualità dell’artigianato locale e il legame con un mercato reale.
Ritengo che questi due elementi, qualità e mercato, possano definire il nuovo rapporto che c’è tra “fare artigianale e pensare industriale” e che il loro equilibrio determina il successo o meno di una nuova impresa. La qualità fa parte dell’animo del maestro artigiano, la ricerca del materiale giusto, la precisione meticolosa nella forma e la pulizia del processo appartengono solo a individui che hanno praticato il mestiere fin da piccoli e che hanno acquisito un’antica sapienza tramandata da generazioni. Tuttavia, nonostante la poesia del “fare” al giorno d’oggi questo non basta ed è necessario affiancarla ad una conoscenza profonda dei nuovi mezzi di comunicazione e canali di vendita che traghettano il prodotto ad un pubblico di nicchia ma internazionale. Questo salto di dimensione è indispensabile e la sua forza risiede proprio nel “pensare industriale”, quella lucidità critica e la praticità imprenditoriale che riesce a trovare spazio su canali innovativi (opensource) e fare leva su nuove dinamiche economiche. L’assenza di equilibrio tra i due elementi, quindi in assenza di qualità o in assenza una profonda conoscenza dell’evoluzione dei mercati, porta al fallimento. Il futuro dell’artigianato lo troveremo in quelle forme ibride, mutanti artigiani, a cavallo tra l’analogico e il digitale.
MARIO BIANCOLIN - Mani, mente e cuore per forgiare arte
Apro la mia riflessione sul tema “fare artigianale e pensare industriale”con una massima di San Francesco D’Assisi: “Chi lavora con le sue mani è un lavoratore, chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano, chi lavora con le sue mani, la sua testa e il suo cuore è un artista”.
Mani, mente e cuore sono elementi indissolubili per creare arte. Arte in tutte le sue forme, a prescindere dal bello e dal brutto. Arte è amore, è passione per la vita e per tutto ciò che include. Anche il lavoro. Lavorare con amore significa produrre cose intelligenti, migliori. Significa dedicare pensieri costruttivi ad un qualcosa a beneficio proprio e degli altri.
Con il mio socio Fabio Buscato abbiamo creato Oikos oltre 20 anni fa. Da subito abbiamo messo noi stessi, la nostra energia e la nostra diversità. Siamo cresciuti pian piano credendo nelle cose impossibili e puntando sempre “più in là”. Abbiamo cercato, sperimentato, ricominciato. Abbiamo inventato, talvolta senza nemmeno rendercene conto, come è avvenuto per Synua, la prima porta blindata al mondo a bilico concepita in un ottica di orizzontalità. Attorno a noi abbiamo costruito una squadra, solida, affidabile, fatta di professionisti motivati, in grado di interpretare le esigenze del cliente e modificare un prodotto in corso d’opera, se necessario. Siamo cresciuti. Siamo divenuti partner di grandi costruttori e riferimento di architetti di fama grazie all’italianità delle nostre porte, alla loro qualità, alla loro versatilità applicativa che le rende perfette per il complesso mondo dell’interior design. Con artigianalità e ingegno abbiamo ottenuto riconoscimenti internazionali: nel 2010 alla blindata scorrevole Synua Vela è stata assegnata la massima onorificenza al mondo nel design industriale, la Menzione D’onore Compasso D’Oro, e nel 2012, ancora una volta, siamo entrati con la nuova blindata Tekno nel ADI Design Index. Come i contadini alla loro terra, noi siamo legati alla nostra città, Venezia. A Venezia abbiamo dedicato la nostra ultima scoperta, Venezia Materia, una finitura egregia fatta di cemento, rovere, ottone, vetri e smalti presente in anteprima al Fuorisalone.
Artigiani. Industriali. Siamo tutto questo insieme. Sì, si può essere tutto questo insieme.
PIERO CASTIGLIONI - L’esistente e il nuovo
La vera opportunità dell'artigiano, rispetto all'industriale, è quella di non avere un ufficio marketing: le richieste progettuali vengono direttamente espresse dal cliente e non da un servizio di ricerche di mercato che si adegua a indifferenziati suggerimenti indicati da possibili acquirenti solitamente orientati verso modelli già esistenti. Il marketing rappresenta il nemico numero uno dell'innovazione: raramente l'industria, solitamente orientata verso un'economia di scala e quindi grandi numeri, decide di rischiare gravosi investimenti su articoli potenzialmente fallimentari ma che talvolta rappresentano una vera rivoluzione del prodotto.
Un bravo e attento artigiano può far si che l'incertezza del risultato diventi un'occasione di maturazione innovativa del progetto, la piccola scala, il dialogo col committente e le maestranze collaboratrici sono sicuramente degli stimoli di grande valore. Inoltre spesso il prodotto artigianale può essere una vera occasione in quanto prototipo per in'eventuale applicazione industriale.
La parafrasi de "il cuore, la mente e la mano" può essere: la sensibilità, il rischio, la destrezza nel fare.
MATTEO DEVECCHI - L’artigiano pensa industriale
È noto che Classico e Romantico, posizioni estetiche contrapposte nate in un preciso momento storico, sono poi stati considerati modi di vedere l’arte (oppure la vita) legati all’essere umano in quanto tale, indipendentemente dalle epoche. Classico e Romantico hanno finito per diventare sinonimo di ragione e istinto, cervello e cuore, giorno e notte, metodo e ispirazione, universale e singolare. Categorie ideali, valori, più che dati di fatto.
Credo che lo stesso possa dirsi di Artigianato e Industria. Da modalità produttive legate a precisi momenti storici (artigianale può essere considerato il normale modo di produzione prima dell’avvento dell’industria), sono diventate anch’esse categorie ideali con cui interpretiamo il significato del lavoro umano e di quello che si produce. Artigianato a mio modo di vedere identifica un’attività produttiva fondata su un sapere incarnato nel corpo dell’artigiano. L’artigiano per lavorare usa il proprio corpo, un corpo che è diventato esperto attraverso la pratica e un lungo tirocinio, al punto da rendere l’individuo insostituibile. Anche l’artista è insostituibile, ma l’artista rappresenta (sempre idealmente) un unicum che non trasmette il proprio sapere, in quanto essere superiore. L’artigiano invece crea una tradizione, ma solo attraverso una trasmissione orale del sapere, ossia mostrando come si fa a un’altra persona che imparerà solo facendo a sua volta. Questo tipo si trasmissione non può che essere locale, perché richiede la presenza fisica del maestro e dell’apprendista. L’Industria rappresenta l’esatto opposto di tutto ciò. L’industria idealmente sostituisce il corpo dell’individuo con la macchina (il sapere si sposta sul momento del progetto, della macchina e del prodotto). La macchina non ha bisogno di apprendere, non fatica, non sbaglia, non si danneggia mai irreparabilmente, ma soprattutto lavora seguendo procedure scritte, slegate dagli individui e dunque è facilmente delocalizzabile.
Non esistono realmente artigiani che non usano macchine, che non cercano di mettere riparo all’insostituibilità degli individui, alle imprecisioni del lavoro manuale, alle difficoltà e ai costi della mancanza di programmazione. Eppure l’artigiano è ben simboleggiato dalla mano solcata di rughe, dal lavoro fatto senza guardare l’orologio, dal pezzo unico, perché incarna quegli ideali.
Per converso non esiste nella realtà un’industria che possa prescindere completamente dalla competenza degli individui. Eppure l’industria incarna questo ideale di totale programmazione, ottimizzazione, razionalizzazione.
L’artigiano rappresenta l’opposto dell’industria, ma nella pratica pensa industriale, nella misura in cui, come essere umano, cerca di organizzare razionalmente il proprio lavoro.
FORMA FANTASMA - QUI E ORA!
Con l'industrializzazione del prodotto fatto a mano la produzione ha dovuto confrontarsi con le capacità della macchina: più veloce, più economica e perfetta. La macchina in sé rappresenta quello che l'uomo non sarà mai in grado di produrre: non solo un originale perfetto, ma anche la possibilità di riprodurre. Inoltre, con il movimento moderno la capacità tecnica di riproduzione meccanica è diventato uno strumento per una rivoluzione democratica.
Il Modernismo è iniziato con la voglia di dare un nuovo significato ai prodotti industriali, e si è evoluto in una trasformazione sociale e culturale, per finire con l'idea di uno "stile internazionale".
Forme geometriche, elementi tipici dello stile internazionale, sono i simboli della pretesa idealistica e universale centrale per il movimento. In questo contesto, le imbarcazioni sembravano appartenere al passato: costoso, decorativo e rappresentativo di una cultura locale. E 'importante notare che l'avversione del movimento moderno di decorazione è stato frainteso e percepito come un valore universale. Al contrario, il rifiuto della decorazione era basata sull'idea che ogni medium avesse un proprio approccio. Inevitabilmente il mestiere e il nuovo gusto hanno influenzato e reagito in due modi diversi: o imitando il passato o imitando l'industria e il suo stile, eliminando per quanto possibile, eventuali tracce di lavoro manuale.
L'artigianato è sopravvissuto all'ondata delle "nuove macchine" collaborando con l'industria nel migliore dei casi (in Italia ci sono diversi ottimi esempi in questo senso), diventando un esempio di attrazione turistica.
In passato, i negozi come li conosciamo oggi erano rari nelle campagne, e, se un contadino aveva bisogno di un oggetto andava direttamente dall'artigiano per ottenerla. Il progetto definitivo dipendeva dal rapporto sociale tra artigiano e cliente.
Sulla base di queste esigenze specifiche e della loro evoluzione, il mestiere si è evoluto.
Quando è stato possibile acquistare i primi prodotti industriali intorno ai secoli XVIII e XIX, l'artigiano è stato immediatamente colpito.
Al giorno d'oggi in molti casi (Caltagirone in Sicilia e Delft in Olanda sono due buoni esempi), il turista è il sostituto per il cliente tradizionale. Un turista è l'unico che ancora visita il laboratorio artigiano per acquistare gli oggetti non per utilizzarli o per le finalità funzionali, ma piuttosto per evocare l'esperienza (il viaggio) o l'idea formalizzata di un luogo (ricordo: dal latino: per evocare ).
Si tratta naturalmente di una semplice panoramica del complesso rapporto tra industria e artigianato e tutti sappiamo come la storia del design come disciplina ha visto la collaborazione con designer di successo come Morris e il movimento arti e mestieri ai radicali fino agli esempi più contemporanei.
In questo senso il rinnovato interesse per l'artigianato non è esattamente una novità, ma sicuramente definire un cambiamento delle esigenze della società.
Mai prima d'ora abbiamo prodotto tanto, ma la distanza fisica tra noi e il frutto del nostro lavoro è aumentato. Le merci vengono prodotte 'altrove' e percepite come senza storia e le informazioni sulle persone sembrano senza identità e luogo. Nel clima attuale di consumo, sistemi di produzione globali sono sempre più fuori controllo. Come reazione, la gente ha iniziato a rivendicare il luogo in nome della sostenibilità. In questo quadro la produzione locale sta diventando una condizione necessaria non solo per le questioni ambientali, ma per una sorta di sostenibilità psicologica: per tagliare la distanza tra l'uomo e la produzione aiuta a ricollegare le persone alla loro cultura. Per comprendere il significato intrinseco degli oggetti, ci aiuta a conoscere meglio noi stessi.
In questo senso il mestiere assume quasi un valore simbolico in cui la mano è rappresentativo di un modo più sostenibile, umano e onesto di produzione.
Pensiamo che questo sia una tendenza che è già in evoluzione, lasciando dietro di sé la nostalgia e il romanticismo e l'idea di una supremazia dell'uomo fatta sulla macchina, ma mantenendo il suo nucleo: la necessità di una maggiore trasparenza, la produzione locale rilevante e in cui il superfluo e la non-etica non è più solo ignobile, ma anche terribilmente old-fashion.
MARCO FERRERI - Dire, Fare, Baciare
Autoproduzione.
Questa parola, a lungo di esclusivo interesse dei professionisti della progettazione, si è caricata negli ultimi anni di nuovi significati capaci di riverberarsi sulla economia della nostra società. Grazie anche alla diffusione di nuove tecnologie e strumenti creativi, i confini tra produzione di massa, artigianato e modalità distributive vivono oggi un radicale processo di ridefinizione. Siamo davvero agli albori di una nuova rivoluzione industriale, nella quale ciascuno avrà la possibilità di essere sia progettista che produttore dei propri oggetti?
Autoproduzione è il primo progetto di The Teachers.
The Teachers è una nuova piattaforma di discussione pubblica sugli argomenti del nostro tempo che ho pensato e realizzato con Granger Press Ltd. In un'alternanza di ritrovi fisici e di contenuti diffusi online, The Teachers punta a mettere a fuoco le questioni che mettono in discussione il contemporaneo, cercando, ancora prima delle risposte, di definire le domande. Appropriate.
Il progetto è monitorabile sul sito: t-teachers.org
DUILIO FORTE - L’intelligenza della natura
Con la produzione industriale che si sposta man mano verso altri paesi scompare di pari passo il bisogno di disegnatori e progettisti industriali. L’occidente così dopo l’omolagazione industriale del secolo scorso riscopre il pezzo unico e l’opera d’arte. In quest’ottica si viene a creare un nuovo spazio per l’autoproduzione.Diventa quindi importante riscoprire le tecniche tradizionali, non legate alle esigenze del prodotto industriale, per dar vita alla produzione di oggetti unici, realizzati su commissione o in piccola serie.La produzione industriale ci ha abituato alla commercializzazione di prodotti realizzati in larga scala, con enormi costi di pubblicità, con sovraccarichi dovuti alla complessità del sistema produttivo e alla distribuzione, gonfiando i prezzi oltre ogni misura. Lo vediamo col fenomeno IKEA che è in grado di fornire prodotti della medesima qualità delle grandi firme del Design con prezzi enormemente più bassi. Siamo stati indotti a considerare qualità del prodotto la confezione, il trasporto e l’immagine veicolata dalla pubblicità.Ora possiamo finalmente usufruire di prodotti in cui la qualità è tutta nella progettazione, personalizzazione ed unicità.In questa chiave si colloca l’attività di AtelierFORTE e la base del pensiero ArkiZoic.Il 12 Febbraio 2009 in occasione dei 200 anni della nascita di Darwin, ho fissato i punti fondamentali del pensiero ArkiZoic.ArkiZoic si ispira alle ere geologiche e in questo vuole rimarcare una continuità temporale con il Fanerozoico, l’eone nel quale si è palesata in modo esplosivo la vita sulla terra.
I.Metti l’anima nelle tue opere
II.Usa la matematica e la geometria della natura
III.Usa il metodo euristico
IV.Dai spazio al caso, all’errore e al non finito
V.Usa i materiali e le forme della tradizione
VI.Usa la decorazione
VII.Usa il disegno come schizzo emozionale
La forma ArkiZoic è dotata di Anima, il soffio vitale, è Empatica e suscita Emozioni. Deve galoppare, avere un capo, una coda e delle zampe, deve essere animorfica ovvero fitomorfica e zoomorfica. Anemos in greco vuol dire vento brezza e per estensione soffio vitale.
La forma ArkiZoic è organica, presenta molti livelli, nasce dal dinamismo e dal movimento, è complessa e articolata, si sviluppa con inclinazioni e incroci, è imprecisa, presenta errori e discontinuità, punti pericolosi e non è finita. Non presenta mai due elementi perfettamente uguali. Cerca l’ordine e la gerarchia, si manifesta nella simmetria e nel ritmo e si esalta nel contrappunto e nell’armonia.
DAVIDE GROPPI - Forse
Ho sempre pensato che il mio lavoro, fare lampade, non sia una scienza esatta.
È il mio punto di partenza.
Quello che posso raccontare è la mia storia. La mia esperienza nel cosiddetto mondo del design.
Non mi sono mai piaciute le eccessive intellettualizzazioni del mio lavoro e del design in generale.
Forse è per questo che non ho iniziato a lavorare cercando di fare il designer, ma ho iniziato facendo lampade. Inventando e costruendo le lampade.
Sono partito da un piccolissimo laboratorio dove facevo tutto da solo. Solo io.
Inventavo, recuperavo pezzi, li assemblavo e poi vendevo le lampade direttamente alle persone che amavano il mio lavoro.
Cercavo un senso. Cercavo un metodo sedimentando piccole verità.
Cerco ancora piccole verità perché penso che il bello sia la luce del vero.
È un pensiero Platonico, ma lo sento molto vicino al mio modo di pensare e di essere.
È il mio metodo.
La semplicità, la leggerezza, l’invenzione e l’emozione sono gli ingredienti del mio pensiero.
Nel mio lavoro le forme nascono sempre per necessità e comunque dopo un lungo processo contemporaneamente intuitivo e razionale.
Ho scoperto che la luce è uno straordinario strumento per comunicare ed entrare in contatto con il prossimo.
Forse questo vuol dire artigianato.
Nel tempo ho scoperto che oltre alle lampade, esiste la comunicazione, la distribuzione …
Ho pensato che potevo fare sempre il mio lavoro, fare lampade con le mani, ma potevo condividerlo con tutto il mondo …
Forse questo vuol dire industria.
Forse.
GIULIO IACCHETTI - CUORE MENTE MANO
Sono cresciuto all’ombra di macchine utensili manovrate da mio padre ed ho giocato tra i trucioli che cadevano dal tavolo di lavoro di mio nonno: provetto intagliatore. Da una parte calcoli precisi, calibri e micrometri per produrre pezzi industriali in serie, dall’altra parte mio nonno che segnava con il lapis direttamente sul legno il percorso che poi la sgorbia avrebbe scavato. Dalla frequentazione di questa strana scuola domestica con insegnamenti apparentemente antagonisti, mi sono formato come progettista. La scuola (quella canonica) sarebbe arrivata molto dopo…o forse, a conti fatti, non è mai pervenuta, perché il vero apprendimento non può che essere permanente e si verifica ogni volta che osservo chi sa pensare con le mani, con l’idea che sia ancora possibile conciliare lavoro e passione, artigianato ed industria, mani e cuore, ponendo come scopo di ogni azione, non il guadagno ma la felicità.
ANDREA MARAGNO (JoeVelluto,/JVLT)
Sono nato in una famiglia dove il fare è sempre stato una cosa normale, quotidiana. Non ci si è mai soffermati sul senso del fare ma si faceva, punto: a casa mia si sapeva fare un po’ di tutto, ci si dava da fare, si faceva l’impossibile per fare un piacere a chi ne aveva bisogno…., e di tutto ciò io ne ho fatto tesoro. Quando ero un bambino la mia famiglia mi ha sempre lasciato fare e poi quando sono cresciuto non sono più riuscito a farne a meno: la prima cosa e la più importante che ho fatto è stato fare a pezzi le cose, in particolare delle sveglie per capire come era fatto il Tempo per poi ricostruirlo. Fare a pezzi mi ha permesso di capire. Capire soprattutto come funzionano le cose del/nel mondo e funzionano che chi fa da sé fa per tre.
Poi, quando si diventa adulti e vuoi farti la tua strada, come nel mio caso, passi inevitabilmente dal “fare per sé” al “fare per tutti”, all’“industriale”. Ti relazioni con la produzione e con il prodotto. Ma non ci vuole molto per capire che il prodotto è il risultato di una moltiplicazione e allora capisci nuovamente un’altra cosa, ovvero che tutto il mondo si basa sulle addizioni, moltiplicazioni, ecc…
Per seguire a tutti i costi la logica del “compro” devi sottostare a quella del “compro|messo” e se ci stai ti comprometti per far si che gli altri si mettano a comprare.
E allora decidi di ritornare a fare a pezzi nuovamente e smonti il design per capire cosa c’è dentro, per liberarlo, per poi rimontarlo. Capisci che “UseLess is More” (Torino, Novembre 2008): l’inutile, se viene progettato per avere un senso (come nell’arte), è “di più” di un oggetto di design – che dovrebbe essere bello e funzionale (e alla moda). E infatti poi capisci anche che le cose di valore, quelle che valgono davvero, sono gratis come la poesia, l'arte e il "sacro". E allora mandi a quel paese “quel” design e dici “funcooldesign” (Triennale, Milano, Gennaio 2011).
E allora torni a fare quello che facevi da piccolo, o quello che è sempre stato fatto nella tua famiglia: il fare per il piacere del fare e perché va fatto.
Fortunatamente in questo periodo di crisi economica e valoriale si sta andando verso la ripresa di qualità originali, radicali ed utopiche e molti sono gli esempi in questo Salone del Mobile, a partire dalla mostra organizzata da Milano Makers "Bla Bla curata da Alessandro Mendini alla Cattedrale della Fabbrica del Vapore, per poi passare alla bella iniziativa di Sfuso, “Retrobottega” alla Ferramenta Pietro Viganò in zona Tortona, e questa iniziativa di BDD (Brera Design District).
Vado, si è fatto tardi!
LIVIA PERALDO MATTON
Artigianalità, technocraft, 3D printing, autoproduzione: sono questi i temi attorno ai quali ruota il dibattito che investe il futuro del design. Tutti elementi solo in apparenza discordanti e la cui sinergia può portare a importanti risultati sia sotto il profilo del prodotto, sia del mercato, in particolare di quello italiano.
Le esperienze di oggi, come i traguardi raggiunti in passato, ci portano però ad affermare che il saper fare artigiano è stato e continua a essere uno dei punti di forza principali del sistema economico del Made in Italy perché il cosiddetto talento italiano, quella capacità di risolvere problemi tecnico-formali coniugando tradizione e innovazione anche nella produzione industriale, trova difficilmente competitor a livello globale.
Proprio al talento italiano, Elle Decor Italia ha dedicato un numero speciale già nel novembre 2011 andando a indagare, sul territorio nazionale, le diverse espressioni del fatto a mano, ovvero la sapienza artigiana, la cura per il dettaglio, l’attenzione alle finiture, la perfezione dell’imperfetto, la presenza della mano dell’uomo. In un momento in cui la rivoluzione digitale è entrata con prepotenza nella vita quotidiana e produttiva, dove immagini virtuali creano realtà effimere e seducenti, condivisibili a livello globale, torna l’esigenza di esperienze e oggetti che siano in qualche modo unici, personalizzati, con evidenti qualità sensoriali.
Un nuovo fare artigiano sta prendendo la rivincita sulla standardizzazione. Attraggono l’oggetto speciale che mantiene tracce dell’intervento dell’uomo e gli interni disegnati e arredati con pezzi su misura come una reazione alla clonazione seriale.
Comunicare e trasmettere i valori della tradizione e di una manualità che non si sono perse nel tempo, ma si sono aggiornate e aperte alle nuove esigenze sposando la tecnologia, è uno tra i compiti di cui Elle Decor Italia vuole farsi portavoce, grazie anche alla sua vocazione internazionale.
FRANCESCA TARONI - Craft online: l’ultima frontiera della creatività
Il tema del rapporto tra design e artigianato mi ha sempre affascinato. Il fatto di riuscire a mettere in comunicazione la sapienza antica dell’artigiano con la visione moderna del designer, rappresenta certamente una chance importante per il mondo del progetto. Non a caso la formula sta prendendo piede tra i giovani, che hanno così la possibilità di sperimentare e realizzare oggetti di altissima qualità, sfruttando le lavorazioni sartoriali delle botteghe. I problemi legati alla vendita e alla distribuzione hanno finora relegato questo tipo di creazioni in serie limitata nel mondo elitario delle gallerie. Ma si stanno affacciando al mercato una serie di progetti che, attraverso il web, tentano di aggirare la barriera (e i costi) della rete distributiva. In questo senso, un esperimento precursore lo abbiamo realizzato un paio di anni fa con la ‘Xmas Craft collection’, collaborazione tra Case da Abitare e il sito di e-commerce Yoox.com. Una selezione di oggettistica craft-made - dai complementi in marmo di Marsotto a quelli in vetro e metallo degli olandesi Kiki van Eijk e Joost van Bleiswijk - messa in vendita online attraverso la rete internazionale di Yoox. Il tema era, ed è ancora oggi, il passaggio dalla nicchia a una distribuzione più ampia. Ecco allora l’idea di Giulio Iacchetti di lanciare ‘Interno Italiano’ (internoitaliano.it): sedie, tavoli, librerie, complementi disegnati da Iacchetti e realizzati da artigiani che co-firmano il prodotto. Materiali tipici, alta qualità, prezzi corretti, vendita online. Non c’è magazzino: il compratore dovrà attendere il tempo necessario per la realizzazione/spedizione. Grandi aspettative anche per il debutto del brand ‘Something Good’(somethinggood.it): nuova piattaforma produttiva di oggetti di uso quotidiano realizzati con la cura del pezzo unico da artigiani veneti, dal tagliere ai complementi per l’ufficio. Anche in questo caso si venderà online in tutta Europa. In attesa di valutare gli sviluppi di queste start-up un’ultima osservazione: il vaso Crystal Ball in legno e vetro soffiato proposto da Matteo Zorzenoni nel 2011, quest’anno entra ufficialmente nella collezione Mondo di Cappellini. Il senso delle autoproduzioni è anche quello di mettersi in mostra e farsi notare dalle grandi aziende.
MATTEO THUN
Nasco come architetto che all’inizio della sua carriera ha avuto la grande opportunità di incontrare e lavorare con Ettore Sottsass, grande maestro che mi ha fortemente influenzato e trasmesso l’approccio olistico e la fermezza nel definirmi architetto e non artista o designer.
Design, “designare”, dal latino “tracciare il confine” o “stabilire qualcosa”. Se questo è il significato della parola “design”, allora non è certo sufficiente per definire un lavoro creativo come il mio e quello dei miei colleghi. Per creare un oggetto è necessario conoscere i materiali e i processi che gli potranno dare vita.
In questa senso piace pensare che siano in un certo senso i clienti a creare l’oggetto. Sono loro a indirizzare il mio essere creativo e a influenzare il risultato finale, raccontandomi le loro esigenze e parlandomi dei materiali e dei processi produttivi che normalmente utilizzano. La mano di chi crea fisicamente, in maniera industriale o artigianale, guida quindi il mio cuore e la mia mente. Così il rapporto di collaborazione diventa un’alleanza, in cui la buona riuscita di uno dipende fortemente dalle caratteristiche e dalla collaborazione dell’altro.
In maniera analoga, nei miei progetti architettonici è il Genius Loci – ovvero le caratteristiche del luogo con le sue specifiche condizioni geografiche e naturalistiche, culturali e storiche - a indicarmi la via progettuale da percorrere.
Questo evidenzia che per me, i processi e i contesti, i materiali e il know-how a disposizione sono elementi fondamentali per il mio pensiero creativo. Ed è così che definisco anche la sostenibilità, sia nel design sia nell’architettura: rispettare il luogo e le circostanze in cui ci troviamo, utilizzando ciò che ci è più vicino in termini di materiali, mezzi e conoscenza.
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